Oggi si festeggia la Repubblica, ma pochi conoscono la storia del nostro emblema nazionale.
Con la creazione del simbolo della Repubblica, l’intento era quello di fornire un apparato simbolico in grado di rappresentare la nuova identità nazionale dopo il ventennio fascista, il disastro della guerra e il cambio istituzionale.
Appena uscita dal referendum l’Italia aveva la necessità di un simbolo che sostituisse lo stemma del Regno d’Italia e quello temporaneo stampato sulle schede – un’Italia circondata da una cinta di torri tra due rami di alloro – che non era soddisfacente.
Dopo un percorso creativo di due anni, due concorsi pubblici e 800 bozzetti, presentati da circa 500 concorrenti, il 5 maggio 1948 l’Italia repubblicana adottò ufficialmente il nuovo emblema.
La vicenda ebbe inizio nell’ottobre del 1946: il Governo di De Gasperi istituì una Commissione, presieduta da Ivanoe Bonomi, per la realizzazione dell’emblema della neonata Repubblica italiana. Si bandì un concorso nazionale aperto a tutti.
Il “brief” era scarno e rigoroso e prevedeva l’esclusione dei simboli di partito, l’inserimento della Stella d’Italia (una stella bianca a cinque punte che da molti secoli rappresenta la terra italiana) e l’ “ispirazione dal senso della terra e dei comuni”.
Ai primi cinque classificati sarebbe andato un premio di 10.000 lire.
Al primo concorso pervennero 341 domande di candidatura e 637 bozzetti in bianco e nero. Ai cinque vincitori selezionati la Commissione chiese di fare nuove proposte basate su un brief più preciso: “una cinta turrita che abbia forma di corona”, come simbolo della resistenza contro il nazifascismo, racchiusa da una ghirlanda di fronde della flora italiana, con la rappresentazione del mare in basso, la stella d’Italia in alto e le parole “unità” e “libertà”.
La scelta cadde sul bozzetto di Paolo Paschetto, professore dell’Istituto di Belle Arti di Roma, al quale andarono ulteriori 50.000 lire e l’incarico di preparare il disegno definitivo.
L’emblema, però, non piacque, anzi, qualcuno lo definì addirittura una “tinozza”, mentre ognuno diceva la sua e voleva uno dei suoi simboli all’interno: i democristiani avrebbero voluto al centro la croce, i comunisti la falce e il martello; persino Alcide de Gasperi lo definì “un simbolo non molto ben riuscito e rappresentativo”.
Si vide necessario, allora nominare una nuova Commissione, presieduta da Giovanni Conti, che bandì un secondo concorso.
Il nuovo brief volle privilegiare un simbolo legato all’idea del lavoro, a richiamo del primo articolo della Costituzione Italiana.
Anche questa volta, su 197 disegni risultò vincitore Paolo Paschetto, il cui elaborato grafico fu sottoposto a ulteriori modifiche. Finalmente la proposta approdò all’Assemblea Costituente dove, con non pochi contrasti, fu approvata nella seduta del 31 gennaio 1948.
Stabiliti i colori, il 5 maggio il Presidente della Repubblica Enrico De Nicola ratificò la scelta firmando il decreto legislativo n. 535, che consegnò all’Italia il suo simbolo.
Erroneamente viene spesso definito come “stemma”, ma dato che è privo dello scudo, che costituisce la parte essenziale di uno stemma secondo la definizione araldica, risulta più corretto riferirvisi con il termine di emblema della Repubblica Italiana. L’emblema è caratterizzato da tre elementi: la stella, la ruota dentata, i rami di ulivo e di quercia.
La stella è uno degli oggetti più antichi del patrimonio iconografico italiano ed è sempre stata associata alla personificazione dell’Italia sin dal Risorgimento.
La ruota dentata d’acciaio, simbolo del lavoro è legata al primo articolo della Carta Costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Il ramo di ulivo simboleggia la volontà di pace della nazione, mentre la quercia incarna la forza e la dignità del popolo italiano. Entrambi, poi, sono espressione delle specie più tipiche del nostro patrimonio arboreo.
Negli anni Novanta fu portata avanti una nuova proposta di restyling dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, secondo cui l’emblema “è il simbolo del socialismo reale”.
Tuttavia, l’unica modifica minima fu apportata durante il secondo governo Berlusconi, che racchiuse l’emblema nell’ellissi del logo della presidenza del Consiglio dei ministri.
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