Il packaging dei prodotti rappresenta da sempre la base fondamentale di identità delle aziende che desiderano competere nei nuovi mercati globali. Saper comunicare un prodotto ha numerosi vantaggi competitivi e strategici per le aziende e i retailer.
Il contesto eco-friendly e normativo spinge, da qualche anno, i produttori e i consumatori a preferire soluzioni di confezionamento dal basso impatto ambientale e in linea con le nuove direttive europee.
Analizzando i dati di consumo pubblicati da diverse riviste nazionali del food e beverage, emerge la tendenza ad apprezzare territorialità, italianità e prodotti abbigliati con un pack sostenibile che metta in evidenza la filiera 100% italiana. Si tratta di una forma di trasparenza richiesta a gran voce da un nuovo target di comsumatori, composto in larga misura dalla generazione dei quarantenni/cinquantenni con un livello di istruzione medio-alta e una discreta capacità di spesa.
Numerose imprese italiane si sono attrezzate o si stanno organizzando per ridurre drasticamente gli imballaggi, le plastiche e la grammatura delle etichette, anche mediante l’uso di carte naturali, riciclate e certificate (laddove il settore merceologico e le scelte di marketing lo consentano). L’uso di materiali compostabili come il Mater-bi, il brik e le plastiche riciclate e la sostituzione di plastiche di origine fossile con quelle di origine vegetale sono al momento le soluzioni più innovative e radicali che alcuni brand stanno adottando per ridurre l’impatto ambientale del confezionamento prodotto: tutte misure e scelte strategiche che necessiteranno comunque di una educazione alimentare mirata, di campagne pubblicitarie coerenti e soprattutto dell’uniformità da parte dei Paesi aderenti all’Unione Europea nella gestione della raccolta dei rifiuti e nel riciclo.
Inoltre, l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha stimolato una brusca accelerata degli acquisti digitali, con percentuali di crescita che raggiungono punte del 60% rispetto al 2019 (v. Mercato digitale in Italia – Infografica). Il canale di vendita on-line determinerà nei prossimi cinque anni una rivalutazione del packaging e degli imballaggi per i prodotti acquistati attraverso i canali e-commerce e per i cibi da asporto di cui molte aziende – soprattutto quelle meno strutturate – non si rendono ancora conto.
Se pandemia e lockdown hanno spinto i governi a promuovere l’agroalimentare basato sulla filiera corta e garantita, sulla maggiore attenzione alle tematiche ambientali, sulla sostenibilità e tipicità dei territori e a rivalutare la funzione dell’e-commerce e della prossimità dei negozi di quartiere, emerge, di contro, il tema caldo delle etichette che, a causa di una poco chiara normativa e di una scarsa conoscenza dei meccanismi reali delle imprese e dei mercati, diventano sempre più cariche grafiche e contenuti inadeguati per una corretta informazione.
Lavorando con aziende del settore food e beverage si registra una confusione generata dai decreti in continuo cambiamento normativo creando non poche difficoltà nella gestione e nella coerenza delle informazioni, ottenendo spesso il risultato opposto al fine dichiarato: anziché tutelare i consumatori con diciture semplici, si compromettono chiarezza e leggibilità dell’etichetta, con effetti anche controproducenti.
Le aziende agroalimentari per crescere nella fase di rilancio post-Covid dovranno essere in grado di investire in nuove tecnologie eco-friendly e in packaging sostenibili, in comunicazione strategica e in plus reali per intercettare la crescente domanda di prodotti sani, equilibrati, con tracciabilità degli ingredienti e della filiera (non solo per gli “health foodies”).
Tuttavia, le direttive europee in tema di etichettatura nel food e beverage presentano alcune incongruenze e innescano dinamiche perverse di aumento dei costi di produzione da parte delle aziende, soprattutto per le PMI che in questa fase economica sono particolarmente vulnerabili.
Ad esempio, analizzando il decreto relativo alla provenienza delle carni lavorate, si impone ai salumifici e alle aziende di trasformazione l’obbligo di usare diciture “Origine UE”, “Origine Extra UE”, “Origine UE e Extra UE” e tutta una serie di informazioni aggiuntive circa l’origine. Bene, nel caso di una filiera tutta italiana l’uso della bandiera tricolore teoricamente non sarebbe vietato, ma andrebbe in collisione con il codice dei consumatori, che sottolinea il dovere di evidenziare la diversa origine dell’ingrediente primario in ogni campo visivo ove venga comunicato il Made in Italy.
La normativa europea non semplifica la comunicazione in etichetta, ma potrebbe complicarla rendendola confusa e generando sprechi economici e di materiale per due semplici motivi:
- il decreto non tiene conto di molte variabili delle informazioni fondamentali richieste dai settori dell’Horeca e dell’export (soprattutto per quelle aziende che lavorano nei mercati extra europei);
- non avendo previsto una deroga, molte aziende che avevano già stampato le etichette secondo la normativa precedente saranno costrette a buttare migliaia di bobine perché inutilizzabili in quanto vendibili solo i prodotti etichettati e/o commercializzati prima dell’entrata in vigore del decreto stesso.
Il decreto esclude dall’obbligo di indicazione della provenienza degli ingredienti i prodotti venduti al banco taglio e quelli a marchio IGP, caratterizzati da disciplinari diversi che, a seconda dei casi, impongono o meno l’uso di materia prima interamente italiana. Dunque, se sul piano meramente teorico queste normative europee sulla trasparenza produttiva hanno una ratio, dal punto di vista del risultato finale emergono errori elementari: per esempio – restando sempre nel campo salumi – indicando l’origine non si comunicano le informazioni più importanti sugli aspetti qualitativi ed etici della lavorazione del prodotto, la razza dell’animale, la tipologia e i plus dell’allevamento, inoltre, le diciture richieste dal decreto possono creare confusione tra l’origine della materia prima e quella del prodotto.
Ma tutte queste informazioni, insieme agli elementi grafici di brand, eventuali claim e indicazioni e consigli di consumo, informeranno veramente il consumatore?
Da un punto di vista del progetto grafico del pack ci si vedrà costretti a sacrificare parte dei facing (la maggior parte dei prodotti hanno a disposizione superfici personalizzabili di 8-10 cm) e dove finiranno i plus di marca? L’evidente difficoltà di impaginare in maniera leggibile, spingerà i produttori a realizzare formati più grandi? Graficamente le normative già in adozione hanno sacrificato tutta una serie di soluzioni illustrative, grafiche e tipografiche (basti pensare alle scelte vincolanti dei font per poter permettere la leggibilità delle numerose informazioni richieste o ai simboli di riciclo e tutela della salute, alla casistica delle tabelle nutrizionali, dei codici a barre, dei qr-code, ecc).
A questo scenario va aggiunta anche la necessità di impaginare sulle etichette degli alimenti la Nutrinform Battery approvata nell’estate del 2020 dalla Commissione Europea (oggi in Italia utilizzabile su base volontaria, ma dal 2022 in forma obbligatoria sulla parte frontale dei prodotti). Si tratta di una variante del semaforo Nutriscore adottato in Francia.
In pratica, sulle confezioni degli alimenti si dovrà apporre nei prossimi mesi un’icona a forma di batteria che indicherà calorie e nutrienti per porzione. Con questo ulteriore simbolo grafico i consumatori dovrebbero agevolmente comprendere l’incidenza dei nutrienti del prodotto acquistato nella dieta quotidiana generale.
Lato creativo, non ci resta che scaldare i motori e trovare soluzioni eleganti e originali per impaginare con coerenza stilistica e ratio progettuale le nuove etichette a norma di legge.
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